STORIA DELLE TERRE DI BRETHA : il Signore di Sinnan

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    WARRIOR OF THE NORTH

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    CITAZIONE

    5
    La caccia



    Zack bussò alla porta di Zurlig. Attorno alla spalla portava avvolto un rotolo di corda, mentre una sciabola faceva bella mostra alla cintura. Indossava comodi abiti di pelle.
    «Arrivo Zack!» disse da dietro la porta la voce di Zurlig, l’anziano amico.
    Un attimo dopo, era sulla veranda da lui. Si sistemava degli stivali alti sino al ginocchio, mentre infilava i calzoni al loro interno.
    «Dovremmo sbrigarci» disse Zack. «Se riusciamo ad arrivare sulla cima della collina prima che faccia buio, potremo cercare qualche traccia. Io penso che il lupo abbia trovato qualche tana tra le rocce. Ci serviranno anche delle torce.»
    «Le torce le porta Linn» rispose Zurlig, intento ad annodarsi sulla nuca i lunghi capelli bianchi che sciolti gli coprivano le spalle.
    «Ed ecco Clen» aggiunse mentre indicava verso la strada.
    Clen Kennod salutò con un braccio. In una mano stringeva una pesante ascia, nell’altra teneva una lunga corda alla quale aveva legato i suoi due cani. I cani sembravano euforici e creavano non poca confusione. Tiravano l’omaccione in avanti, rischiando di fargli perdere l’equilibrio.
    Sulla veranda della locanda erano frattanto usciti Linn e il mercante ospite. I due parlavano intensamente, mentre Linn legava assieme tre torce da portare con loro. Un arco lungo era assicurato sulla schiena, assieme a una faretra piena di frecce.
    «Bene, andiamo» disse Zack, rivolto a Zurlig, nel vedere che adesso anche Clen saliva sulla veranda della locanda per raggiungere Linn.
    Mathell intanto uscì sulla strada. Pure lui, come Linn, aveva un arco a tracolla e una spada legata alla cintura.
    I cinque uomini si fermarono a discutere davanti la locanda, nello stesso punto in cui una chiazza di umido per terra segnalava dove era stato lavato il sangue della pecora uccisa. Poco più in là, Noristan stava seduto sotto la grondaia, fumava una pipa e osservava il gruppo che si apprestava a salire sulle colline. Dopo qualche minuto, gli uomini si avviarono lungo la strada, per abbandonarla non appena oltrepassata la palizzata del villaggio, così da iniziare a inerpicarsi su per il colle. La loro meta erano gli alberi che, poco più su, formavano un piccolo bosco a circa metà salita. Gli ultimi raggi del sole illuminavano il fianco della collina, dove risaltavano gli ampi prati erbosi, prima di eclissarsi nel folto degli alberi.

    **********
    Eremoth era confuso.
    Arrivato alla baia dove il bestiame era al pascolo, aveva contato e ricontato le bestie: ne mancava una.
    C’erano diciassette mucche e non diciotto. Gli animali parevano tranquilli, ma Eremoth li aveva trovati giù alla spiaggia, cosa questa che costituiva un fatto insolito. In genere stavano ben più su, dove l’erba costituiva un luogo ideale per pascolare. Alla fine, aveva dedotto che le bestie dovevano essere state spaventate, per scendere sin quasi alla spiaggia. Il vento, che fino a quel momento aveva continuato a soffiare incessante dal mare, si era attenuato e ora pareva soffiare dall’entroterra, come del resto era solito accadere al calar del sole. L’insenatura non era molto grande ed Eremoth decise di iniziare a controllare lungo i margini, dove l’ampio prato lasciava posto alle rocce alte e frastagliate e dove, la mucca mancante, poteva essersi incastrata in qualcuno dei numerosi crepacci.
    Il rombo delle onde del mare in scaduta copriva ogni altro rumore. Ben presto, il giovane si rese conto che non avrebbe fatto in tempo a tornare prima del buio, come aveva chiesto il padre. Del resto, doveva accertarsi dove fosse finito l’animale mancante.
    Lungo il margine della scogliera che chiudeva a ovest l’insenatura, Eremoth notò un punto dove l’erba alta sembrava schiacciata. I lunghi fili d’erba erano pestati e spezzati, come se qualcuno ci si fosse rotolato sopra. Un velo di preoccupazione iniziò a serpeggiare sul volto del giovane.
    Si chinò per guardare meglio, nella luce ormai morente del giorno, e capì che sul terreno erano evidenti i segni di una lotta. Vide chiaramente le tracce profonde impresse dagli zoccoli di una mucca. La cosa che lo fece sobbalzare fu però il notare delle impronte diverse.
    Sì, non aveva più dubbi adesso: le altre impronte erano quelle di un lupo, un grosso lupo!
    Si guardò attorno, allarmato. Dunque la bestia si era spostata dalle colline ed era giunta sin lì. Oppure poteva trattarsi benissimo di un altro lupo, sceso dalla palude assieme a quello che, al mattino, aveva razziato le pecore di Tine. Di certo, le impronte erano di un solo animale. Eremoth era molto bravo a decifrare i segni lasciati sul terreno. Amava cacciare nei boschetti vicini. Lepri e conigli erano molto frequenti e spesso cadevano prede della sua caccia.
    Adesso il sole era del tutto scomparso dietro la roccia che chiudeva la baia a occidente. Lui era proprio ai piedi della parete, il buio iniziava a farsi sempre più fitto e non consentiva una buona visione delle tracce. Si rammaricò per non aver pensato di portare con sé una torcia. Ma, del resto, sarebbe dovuto tornare al villaggio prima del buio. Continuò a seguire l’erba schiacciata e, a un tratto, si chinò a tastare il terreno. Poi si odorò le dita: sì, era sangue!
    Nel buio che avanzava, aveva notato delle chiazze scure sul terreno e sui fili d’erba schiacciati. Alzò lo sguardo e vide che i segni indicavano chiaramente come la grossa mucca fosse stata ferita e trascinata via.
    Iniziò quasi a correre, lungo l’oramai evidente sentiero tracciato dall’erba schiacciata e spezzata. Le tracce lo portarono quasi all’uscita della piccola insenatura, dove il sentiero scorreva stretto tra le rocce prima di inoltrarsi nel boschetto di lecci.
    Improvvisamente sentì un nodo stringergli la gola. Dall’erba alta, fuoriusciva chiaramente una zampa. Era la sua mucca. La zampa, protesa verso l’alto, indicava con certezza che era stata abbattuta.
    Si precipitò verso il punto individuato, nel tentativo di guardare con attenzione nel buio incipiente. La bestia era stata attaccata dapprima su un fianco, come risultava evidente dai profondi solchi sulla pelle e dai segni inequivocabili di morsi profondi. Poi, il lupo, era riuscito ad afferrare il grosso animale alla gola. Questo ne aveva decretato la morte. Un profondo squarcio si apriva sul collo dell’animale. Eremoth venne assalito da un moto di rabbia alla vista che, dall’interno di una delle zampe anteriori, larghi pezzi di carne ne erano stati asportati. Il lupo, dopo aver ucciso la mucca e averla trascinata per un po’, s’era evidentemente fermato a gustare la sua preda, resosi conto di non riuscire a trascinarla oltre.
    Eremoth si tirò su.
    Quindi, il lupo era lì attorno. Questo lo poneva anche in una situazione di pericolo. Un lupo da solo, probabilmente, avrebbe avuto timore di un uomo. Ma quella bestia aveva attaccato, senza remore, un animale molto più grosso di lui, una mucca. Evidentemente era molto affamato e questo lo rendeva doppiamente pericoloso. Resosi conto di non poter fare più nulla per la mucca uccisa, Eremoth uscì dall’erba alta e si portò sul sentiero che collegava la baia al boschetto di lecci, per fermarsi a riflettere sulla cosa migliore da fare. Non aveva paura, ma una certa preoccupazione iniziò a serpeggiare nel suo animo.

    **********
    Zack era frastornato. Il lupo sembrava essersi spostato. Strano, visto che aveva fiutato delle prede e ne aveva gustato la carne. La pecora dilaniata, la seconda di cui aveva detto Tine quella mattina, era stata spolpata per una buona parte e i resti erano ora ricoperti da nugoli di mosche. Eppure, avevano setacciato quelle colline per diverse ore, senza che trapelasse alcun segno della presenza del lupo. Adesso, i cinque uomini e i due cani, troppo tranquilli perché l’animale fosse nei paraggi, erano fermi alla base di un grosso masso, per decidere il da farsi. Mathell era letteralmente rabbioso. La vista della seconda pecora, o meglio di quel che ne restava, aveva riacceso in lui la sete di vendetta verso quell’infido animale. Anche gli altri uomini erano frementi e motivati a scovarlo, ma sembrava ormai certo che questo non fosse più sulle colline. Al buio della notte, gli uomini si interrogavano su dove cercare. Avevano controllato ogni anfratto e ogni zona dove il lupo avrebbe potuto nascondersi. Avevano anche guardato lungo il limitare del muro di rovi, oltre cui era impossibile addentrarsi e dopo del quale, alcune centinaia di metri più a nord, iniziavano gli acquitrini della palude.
    «Forse dovremmo sistemare delle trappole. Magari lungo il limitare degli alberi, sul fianco della collina» disse Zack rivolto agli altri.
    «Sì, credo sia una buona idea. Poi facciamo fiutare le tracce ai cani, vediamo se riescono a capire verso dove possa essersi spostato» annuì Mathell.
    «Maledetta bestiaccia!» esclamò affaticato Clen.
    L’uomo sembrava quello più provato dalla risalita delle colline, oltre che per il suo non indifferente peso, anche per aver dovuto tenere a freno i due cani irrequieti.
    «Io dico di liberare i cani. Che fiutino la traccia. Ci porteranno diritti al lupo» concluse, mentre annuiva convinto.
    «Allora torniamo nei pressi della carcassa. Lì, potranno fiutare meglio la traccia e noi potremo sistemare delle trappole sul limitare degli alberi» disse Zack.
    «Sì, credo sia la cosa migliore» annuì Linn, che aggiunse:
    «Direi di accendere le torce. Non si vede più nulla qui tra gli alberi.»
    «Sì, buona idea» confermò Zurlig, che srotolò l’involucro che Linn gli aveva affidato e contenente le tre torce.
    Il gruppo, avvolto nel chiarore delle torce accese, iniziò a ridiscendere il boschetto, verso la radura dove Mathell era solito fare pascolare il suo gregge e dove era avvenuto, al mattino, l’assalto del lupo.

    **********
    Eremoth aveva faticato non poco ma, alla fine, era riuscito a raggruppare le diciassette mucche ancora spaventate. Le aveva riunite tutte in una rientranza della falesia costiera. Gli animali erano anche innervositi dal ruggito della risacca. Il giovane decise che avrebbe vegliato sul bestiame, almeno sino all’indomani. Il padre avrebbe capito che sarebbe stata la cosa più saggia da fare.
    Pensieroso per l’inaspettato evolvere della situazione, iniziò ad ammucchiare legni e arbusti all’ingresso della rientranza. Avrebbe acceso un fuoco, sia per riscaldarsi che per tranquillizzare le bestie e allontanare il lupo. Eremoth ne era certo, il lupo era ancora nei paraggi. Probabilmente osservava la baia, nascosto in qualche spacco delle rocce che la delimitavano. Ancora una volta, il giovane rimpianse di non aver pensato all’eventualità di accamparsi lì. Avvertiva i primi morsi della fame, ma suo padre era stato categorico: non voleva si fermasse lì, per la notte. Invece, gli eventi lo avevano condotto a doverlo fare e ora si apprestava a una lunga notte di veglia e a stomaco vuoto. Acceso il fuoco, si accoccolò sul terreno sabbioso, così da godere del calore della fiamma. Il vento era cessato e il calare del buio aveva fatto svanire la calura del giorno. La notte portava frescura e umidità. Eremoth guardò il cielo. Un manto stellato rivelava un cielo limpido e senza nuvole. Solo la luce del falò riusciva a nascondere il chiarore delle stelle. La luna, quasi piena, si era levata alta in cielo, rischiarava la radura sovrastante e la lunga lingua di sabbia candida, spazzata dalla risacca. Il giovane si volse verso il mare, brandelli del sogno gli affiorarono alla mente, ma li ricacciò prontamente indietro, convinto a non farsi distrarre da quei pensieri. Ripensò invece, con rabbia, alla mucca dilaniata. Per quanto ricordasse, era da molti anni che un lupo non creava dei problemi alla piccola comunità di Lot. Sapevano che ce n’erano diversi branchi nella palude, ma le barriere naturali avevano sempre preservato la zona da quelle bestiacce. Tra l’altro, era assai improbabile che due lupi fossero scesi, dagli acquitrini, in punti diversi. E, se fossero giunti li assieme, era altresì improbabile si fossero divisi. Più Eremoth ci rifletteva e più ne traeva la convinzione che il lupo, assassino della sua mucca, fosse lo stesso che al mattino aveva attaccato le due pecore di Tine. Sul fatto che si trattasse di un solo animale, Eremoth non nutriva dubbi. Le impronte, anche se viste con la poca luce del tramonto, erano chiare. Il lupo che aveva assalito la mucca era uno solo. Grosso, ma solo. Probabilmente, pensò il giovane, si sarà trattato di qualche vecchio esemplare, scacciato dal branco e giunto sin lì per trovare un posto dove trascorrere gli ultimi giorni prima di morire.
    Era ancora assorto in questi pensieri quando l’ululato, forte e nitido malgrado la risacca, lo fece sussultare.
    Era vicino! Questa adesso era una certezza. La mano di Eremoth si portò al fianco, a verificare inconsciamente che il suo fidato pugnale fosse ben stabile alla cintura. Non era una grande arma contro un lupo, soprattutto un grosso lupo come quello che pareva essere, ma Eremoth era abile a maneggiarlo. Di certo, se ce ne fosse stato bisogno, avrebbe saputo difendersi.
    Si alzò dalla sabbia, ora calda grazie al fuoco ardente del falò, e si sposto nella zona buia antistante il fuoco. Poi si voltò e aguzzò la vista per scorgere qualche movimento attorno o tra le rocce al limitare della baia. Il chiarore della luna illuminava bene una buona metà del terreno aperto soprastante, quello dove solitamente pascolavano gli animali, e così la parete occidentale, quella alla cui base aveva trovato il corpo della mucca. Invece, la parete orientale, quella verso il villaggio, era totalmente buia e immersa nell’ombra.

    **********
    Zack, ansimante, come del resto i suoi amici, sedeva per terra, con la schiena poggiata a una grossa pietra. Avevano appena finito di sistemare l’ultima delle trappole con i resti della pecora morta: se il lupo avesse provato ad arraffare una delle esche, brandelli sanguinolenti della pecora, legati e fatti penzolare dai rami degli alberi al limitare del boschetto, grazie a un sistema di contrappeso, sarebbe rimasto agganciato e appeso all’albero.
    Adesso gli uomini si riprendevano dallo sforzo, prima di lanciarsi dietro ai cani che già, avidamente, fiutavano la traccia olfattiva del lupo.
    «Davvero strano, sembrerebbe che il lupo sia sceso lungo il crinale occidentale della collina» disse Clen, nell’osservare i suoi due cani che, tra guaiti e scodinzolamenti, fiutavano il terreno tutt’attorno e già sì erano allontanati una cinquantina di metri più in basso, ma sempre ben visibili, grazie alla luce della grossa luna che rischiarava benissimo il pendio scoperto della collina, dove adesso erano riuniti gli uomini.
    L’asserzione di Clen fece voltare Zack, che si sporse a guardare i due cani. Un brutto presentimento si insinuò nella mente dell’uomo:
    «Maledizione! Se si è spostato verso ovest, potrebbe essere stato attratto dal mio bestiame ed Eremoth, quando siamo partiti, ancora non aveva fatto ritorno al villaggio!»
    Detto ciò, Zack balzò in piedi.
    «Uhm… !» parve riflettere Zurlig. «Aspetta ad allarmarti. Eremoth non è uno stupido e può benissimo essere che il lupo sia ridisceso per abbeverarsi al torrentello. Certo è che faremo meglio a darci una smossa e seguire i cani.»
    Detto ciò, si alzo con uno scatto energico, inusuale per un uomo della sua età.
    Linn imitò i due amici, subito seguito da Mathell. In un batter d’occhio, i cinque uomini erano d’appresso ai due cani, adesso concentratissimi sulla preda.

    **********
    Eremoth non riuscì a vedere nulla di insolito, perlomeno nel tratto che gli consentiva il suo campo visivo e la fioca luce della luna. Si voltò per tornare al fuoco. Fece appena per muoversi quando, al di là del falò, nella stretta rientranza dove erano riunite le mucche, iniziò un trambusto incredibile. Le bestie si muovevano agitate e muggivano spaventate. Eremoth, che ancora stava sul lato esterno della rientranza e aveva il fuoco davanti agli occhi, non riuscì a rendersi conto del motivo di quel trambusto. Quando ne intuì la possibile origine, il giovane si ritrovò faccia a faccia con una delle mucche che, terrorizzata, aveva scavalcato il fuoco e, cieca dalla paura, fuggiva a testa bassa dalla falesia. Eremoth non riuscì a scansare la bestia che, dopo averlo urtato con un fianco, lo mandò ruzzoloni un paio di metri più in là. L’urto al costato fu duro e il giovane si ritrovò boccheggiante per terra, senza riuscire a inspirare aria a causa del colpo subito. Si rese conto che gli animali, ora che il falò era stato spazzato dalla fuga della prima mucca, si riversavano fuori dal riparo in cui lui le aveva riunite. Eremoth si toccò il costato, e riprese fiato. Il dolore era notevole e si rese conto che avrebbe avuto un grosso livido lì dove la mucca l’aveva colpito. Tuttavia, con sollievo, capì di non avere nulla di rotto. Si rialzò, ancora attonito per quella fuga in massa delle bestie, per cercarne il motivo. Non faticò a trovarlo. Una mucca, ancora nella rientranza, sgroppava selvaggiamente e muggiva nel tentativo di divincolarsi dal lupo che le stava avvinghiato sulla schiena. Il lupo, eluse tutte le precauzioni del giovane, aveva attaccato dall’alto, per saltare dal bordo della falesia direttamente sulla preda designata. Eremoth, senza pensarci su due volte, si chinò e prese un ramo incandescente dal falò, ormai distrutto dal passaggio della mandria spaventata. Portò indietro il braccio e scagliò, con quanta forza poté, il pezzo di legno incandescente sulla schiena del lupo. Lo colpì in pieno e provocò una nuvola di scintille. Questo, sorpreso dal colpo subito, fu disarcionato dalla mucca che, trovatasi libera, fuggì verso l’uscita della rientranza e verso la salvezza.
    Eremoth dovette scartare di lato per evitare un altro terribile urto contro l’animale terrorizzato. Evitata la mucca si voltò verso il lupo. Questo, ripresosi dalla sorpresa, adesso era a testa bassa che ringhiava verso il giovane. La bestia era davvero inusualmente grossa. Lunghi canini sporgevano dalla bocca ringhiante dell’animale che, centimetro dopo centimetro, si avvicinava verso Eremoth. Questi, si chinò nuovamente sul falò distrutto per afferrare un altro pezzo di legno infiammato, con cui difendersi dal grosso lupo. Ma l’animale, appena Eremoth fece il gesto di chinarsi verso il fuoco, caricò con impeto e rabbia. Il giovane fece un balzo all’indietro, nel tentativo di evitare la bestia, ma mise un piede su un pezzo di legno carbonizzato del falò, sparpagliato sulla sabbia, e si ritrovò, schiena a terra, impotente. In un attimo, il lupo gli fu addosso. Istintivamente, il giovane difese il viso e afferrò con le mani il grosso collo della bestia che, nello spingersi con le zampe posteriori, avidamente artigliate sulle cosce di Eremoth, cercava di serrare con le potenti mascelle la gola del giovane. Eremoth si vide perso. Con le mani riusciva a stento a tenere l’avida bocca del lupo a pochi centimetri dalla sua gola, mentre la bava del predatore gli colava sugli occhi. Sapeva di non poter resistere a lungo e il dolore causato dagli artigli, penetrati nella carne delle cosce, non faceva che anticipare il suo cedimento. Il fiato puzzolente del lupo fece trattenere il respiro a Eremoth, che oltre all’acuto dolore alle gambe artigliate dalla bestia, avvertì una fitta al costato, già provato dall’urto con la mucca e ora schiacciato dal peso dell’animale.
    A un tratto, Eremoth vide gli occhi del lupo spostare lo sguardo dai suoi e puntare al di là della sua testa, dove lui non poteva vedere. Il giovane avvertì una diminuzione della pressione sul suo corpo da parte dell’animale, che ora pareva ringhiare verso qualcosa alle sue spalle. Con decisione, mollò la mano destra dal collo del lupo distratto, ben attento che l’altra tenesse le fauci lontane dalla propria gola, e fattola scorrere sul suo fianco raggiunse il fodero del coltello appeso alla cintola. Le sue dita strinsero il manico dell’arma e, senza esitare, lo estrasse e tirò un fendente, con tutte le forze rimaste, alla tempia del lupo. L’animale guaì, saltò di lato, spinto anche dal forte colpo inferto da Eremoth, per poi accasciarsi di fianco a lui sulla sabbia. Emise un rantolo, le zampe posteriori frustarono per un breve attimo l’aria, e morì. Eremoth si girò su un fianco, stremato e con lo sguardo fisso sul corpo del lupo, per assicurarsi di averlo ucciso. Il pugnale era penetrato nel cranio dell’animale fino al manico, che ora fuoriusciva dalla testa pelosa, colpendo il cervello. Nell’infliggere il colpo, aveva avvertito il cedere delle ossa del cranio. Adesso, senza fiato e dolorante, guardava, in ginocchio sulla sabbia, il lupo abbattuto.
    «Complimenti, davvero notevole!» la voce, quasi gioiosa, provenne da un punto alle sue spalle.
    Si voltò, e rimase paralizzato. La donna, la donna del sogno, era lì, in piedi alle sue spalle. Era a lei che il lupo aveva ringhiato. Distratto gli aveva consentito di afferrare il pugnale. Il giovane era sconvolto.
    «Tu!» riuscì a stento a pronunciare.
    «Sei davvero molto svelto, Eremoth. Più veloce di una pantera» disse la donna sorridente.
    Lui la osservò attentamente, quasi a chiedersi se non sognava nuovamente. La donna era vestita così come la ricordava, e la bellezza, che traspariva da quelle vesti attillate, era quella già vista. Cercò di parlarle, ma dovette fare molta fatica. Era completamente indolenzito, respirava a stento e, a quella vista, il cuore gli batteva all’impazzata. Era confuso da tutto ciò.
    «Ma, tu… sei reale?» domandò Eremoth, che si sentì stupido nello stesso istante in cui le parole gli uscirono di bocca.
    Stavolta la donna rise di gusto e il suono della risata risultò gradevole alle orecchie del giovane.
    «Ti sembro irreale? Chiedilo al lupo, se è disposto a risponderti» e la donna rise nuovamente, stavolta imitata da Eremoth, che provò anch’egli a ridere, fosse altro per scacciare la tensione degli ultimi minuti e gioire dello scampato pericolo. Ma l’operazione risultò alquanto dolorosa per il giovane e, anziché una risata, riuscì a emettere un suono quanto mai simile a un fischio roco, mentre i polmoni parvero scoppiare e il dolore gli annebbiò la vista.
    «Qual è il tuo nome?» riuscì a chiedere, appena ripresosi.
    «Sallina, un nome che dubito possa dirti nulla. Credo invece che faresti meglio a seguire quel che già ti dissi la volta scorsa, se davvero vuoi dare un senso alla tua vita» rispose, stavolta con serietà, la donna.
    «Ma la volta scorsa era un sogno? Come hai fatto a parlarmi in sogno?» chiese Eremoth, sconvolto dalle tante cose che non capiva.
    «Diciamo che sono una donna dai molteplici poteri. Riesco a manifestarmi anche nei sogni della gente» rispose Sallina, che rivelò, malgrado il velo che le copriva ancora il volto, un largo sorriso.
    «Ti devo la vita. Hai distratto tu il lupo» disse accigliato il giovane.
    «No! Devi al tuo coraggio e alla tua velocità la tua vita! Io son giunta al momento giusto, ma tu hai saputo coglierne l’opportunità. Tutto nella vita ruota così. Basta essere abili a cogliere le opportunità. E ora, io son qui per offriti la più grande delle opportunità che potesse capitarti. Starà a te saperla cogliere.»
    Lo sguardo della donna tornò serio.
    «Mi hai detto, la volta scorsa, di un viaggio, un lungo viaggio. Dimmi cosa mi attende dunque» chiese Eremoth ansioso.
    «Bene, ti dirò del tuo viaggio e di ciò che ti aspetta. Delle ricchezze che avrai e della notorietà che raggiungerai. Ma sappi, Eremoth, tutto dipenderà dalle scelte che compirai. Questo potrebbe essere il tuo futuro, così come potrebbe essere un’opportunità sprecata» lo ammonì la donna.
    «Parla, dunque!» la incitò Eremoth.
    «Il tuo destino è legato a un’antica e triste storia. Tutto iniziò sull’isola di Sinnan, l’isola che la gente di Bretha pare aver dimenticato. Forse volutamente, per non ricordare il male e le nefandezze compiute tanto, tanto tempo fa. A quell’epoca, l’isola ospitava la casa di un grande uomo, ricco e stimato. Era un mercante, ma anche proprietario di fiorenti miniere, da lui aperte proprio nei pressi del suo svettante maniero. Egli aveva un amico e socio in affari, Malgus, grande uomo e attivo mercante. I due fecero costruire una grande flotta di vascelli mercantili e, con quelli, Malgus iniziò un fiorente commercio per tutto il continente. Non vi era isola che non fosse toccata dai commerci dei due uomini, con lauti guadagni. Tante furono le ricchezze accumulate dai due mercanti e tanta l’invidia che dovettero subire dalla gente di Bretha. L’isola di Sinnan, per anni, era stata ritenuta inospitale e quando l’abile uomo, di cui si perse il nome, ne prese possesso, in pochi avrebbero creduto che potesse trovare tanta ricchezza nel sottosuolo. Il padrone del maniero non aveva avuto un facile passato: la moglie gli morì durante il travaglio del loro primo e unico figlio e lo stesso ragazzo fu, in seguito, ucciso da alcuni banditi che cercarono di rubare nella loro casa di Verghat, l’altra grande città del continente assieme a Bretha. La grande città nelle terre fredde del nord. Fu a seguito di tali fatti che quell’uomo si trasferì qui, al sud, e comprò l’isola di Sinnan, dal sovrano di allora della città di Bretha, che ne rivendicava il possesso. Qui, si rifece una vita e conobbe, a Bretha, un giovane ragazzo. Un vagabondo che ricordava nell’aspetto il figlio ucciso a Verghat dai banditi. Il giovane era orfano di entrambi i genitori e fu così che il Signore dell’isola di Sinnan lo prese con sé, deciso ad adottarlo.»
    Eremoth annuì.
    «Mio padre mi ha detto di quest’uomo, ma non con tanta dovizia di particolari» e nel dire ciò il giovane gemette, per una fitta di dolore al costato.
    «Non sforzarti, Eremoth. Il tuo fisico ne è uscito provato questa notte, ma vedrai che le tue ferite guariranno presto. Ascolta il resto della storia» disse la donna, comprensiva dei dolori del giovane.
    «Tutto sembrò andare bene per anni» proseguì Sallina. «Mentre le ricchezze continuavano a essere accumulate dai due uomini, il giovane crebbe, rispettoso di colui che ormai gli faceva da padre. Anche il ricco padrone del castello pareva aver ritrovato quella serenità che gli eventi passati sembravano avergli rubato per sempre. Ma non tutto andò bene. Un giorno, Malgus tornò da uno dei suoi lunghi viaggi con una grave malattia. Anche il suo equipaggio ne tornò affetto. Il mercante ricevette immediate cure dai suoi amici, a Sinnan, così come i marinai ammalati. Qualcuno dei marinai però, era abitante a Bretha. Inconsapevole del male che portava con sè, fece ritorno alla città. In breve, scoppiò una grande epidemia, in tanti morirono. A Sinnan invece, trovarono un rimedio che salvò sia Malgus, sia molti dei marinai affetti dal male. Probabilmente, questo portò altra invidia nella gente di Bretha, invidia che, unita alla rabbia delle tante morti subite, accecò la mente degli uomini della città. Essi videro nei due mercanti la causa di tutti i mali e decisero di farsi giustizia. Fu così che, una notte, quattro navi salparono dal porto di Bretha, alla volta dell’isola di Sinnan. Alle prime luci dell’alba di tre giorni dopo, i furenti uomini attraccarono sull’isola e uccisero in breve tempo le guardie, ignare di ciò che avveniva e colte ancora nel sonno. Raggiunsero il castello e qui, con ferocia inaudita, uccisero tutti, compreso il padrone e il figliastro. Di Malgus, la sorte non fu chiara. Qualcuno sostenne che non fosse lì, a Sinnan, ma non si seppe mai nulla di certo.»
    Eremoth era senza fiato, ma stavolta per il racconto.
    «Continua, ti prego» riuscì a stento a dire.
    La donna sorrise nuovamente, poi continuò:
    «Si narra che, alla morte del Signore di Sinnan, l’oscurità avvolse l’isola e una tremenda tempesta si abbatté sugli uomini che tanta crudeltà avevano dimostrato. Fuggirono, senza rendersi conto delle onde che si ingrossavano. Solo una nave riuscì a far ritorno al porto di Bretha. Degli altri e delle navi, non si seppe più nulla. Probabilmente, in seguito, a Bretha ci si rese conto della malvagità di quanto avvenuto e quindi tutta la storia venne dimenticata e insabbiata nello scorrere del tempo. Nessuno più pensò di recarsi a Sinnan e i morti del castello e tutte le loro ricchezze, furono dimenticati.»
    La donna, dopo il lungo racconto, si rilassò, appoggiata su un grosso scoglio. Eremoth la guardava sconvolto, con l’animo in tumulto. Era lì, ad appena due metri da lui. Ne percepiva l’intenso profumo, era lì, così reale ma anche così evanescente. Gli parlava e quasi gli aveva fatto dimenticare il costato in fiamme e le cosce sanguinanti e doloranti a causa delle profonde ferite inferte dagli artigli del lupo.
    «Ma, io… in tutto questo, in questa terribile storia, che parte ho?» domandò Eremoth all’esile figura, che si stagliava nitida nel chiarore lunare di quella limpida notte di mezza estate.
    La donna rimase pensierosa a scrutarlo. Nel buio, gli occhi di lei parvero brillare:
    «Tu, Eremoth Thorm, sarai chi ritroverà l’immenso tesoro accumulato dai due uomini e che tutti sembrano aver dimenticato. E’ tutto lì, custodito nei sotterranei del castello. Inoltre, sarai tu a portare giustizia a quegli uomini, trucidati ingiustamente e ciecamente dalle folli genti di Bretha. Ti fregerai di un onore e di una fama che scuoterà l’intero continente.»
    «Io?!» gemette il povero Eremoth, dolorante.
    «Ma se, per poco, un vecchio lupo non mi ha quasi ucciso!» aggiunse sarcasticamente alla giovane donna.
    «Oh, giovane Thorm, quanto la fai lunga! Hai rimediato un paio di graffi ed entro due giorni starai meglio di prima» osservò, con derisione, Sallina.
    «E poi, non sarai solo in questo lungo viaggio. Altri ti aiuteranno nella tua impresa. E’ tutto scritto nelle sabbie del tuo destino. Dovrai solo stare attento che il vento non lo cancelli. Per prima cosa, dovrai recarti a Bretha. Lì, incontrerai Leaf, una donna. Sarà una delle persone che ti aiuteranno a organizzare il lungo viaggio e ad allestire la nave che avrai per farlo. Non preoccuparti! Se sarai abbastanza convincente, il re in persona te la metterà a disposizione. Leaf ti indicherà anche cosa fare e chi altri contattare. Tutto ti verrà svelato, man mano che intraprenderai la tua opera. Altre persone ti aspettano, sanno che tu sarai colui che le porterà alla gloria e alla ricchezza.»
    Eremoth era letteralmente con il mento penzolante e gli occhi persi nel vuoto. Per un attimo ritenne di avere le allucinazioni a causa della prostrazione fisica del momento. Poi, balbettò:
    «Sallina, ma sei certa che le mie capacità siano tali da affrontare un simile destino?»
    La donna sorrise nuovamente, quindi disse:
    «Non temere, Eremoth, se ti sono apparsa significa che sono certa del tuo valore e del tuo coraggio. Ora, pensa a guarire dalle ferite di questa notte. E poi, segui ciò che ti ho detto. La strada per la fama e la gloria è sicuramente irta e lunga, ma alla tua portata. Fatti valere. Ci rivedremo, a presto mio giovane amico.»
    Quindi, la donna si voltò e si incamminò sulla spiaggia, incurante del mare che le avvolgeva le caviglie. Poi scomparve, o così parve a Eremoth, anche perché il provato giovane chiuse gli occhi e il buio lo colmò.

     
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